Bellezza criminale
Raffaele Cantone: «Riciclaggio, evasione fiscale e traffico di droga attraverso l’arte sono problemi reali»
Soltanto una piccola targa, «ANAC», segnala l’ingresso dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, sistemata in un edificio vicino a piazza Colonna, a Roma. Il presidente è un magistrato di 54 anni, Raffaele Cantone, da tempo simbolo di legalità, in prima linea come pubblico ministero e poi, dal 1999 alla Direzione distrettuale antimafia di Napoli.
La sua popolarità è cominciata con le inchieste sul clan dei Casalesi, quindi sulla camorra nel casertano e le sue diramazioni in Europa. Dal 2003 vive sotto scorta. Si è trasferito a Roma nel 2007 per andare a lavorare in Cassazione. Nel 2014 è stato nominato presidente dell’Autorità Anticorruzione con un compito strategico: il controllo di legalità nella pubblica amministrazione: «L’ANAC non si occupa di investigazione ma di prevenzione», precisa subito Cantone. Il mondo della cultura lo interessa: ha scritto libri di successo legati alla sua professione ma non solo.
L’arte lo incuriosisce. Non si occupa più direttamente di inchieste penali, conosce però i risvolti illegali di quel mondo spesso opaco che usa l’opera d’arte come strumento di criminalità economica per operazioni, su vasta scala, di riciclaggio, evasione fiscale, traffico di droga eccetera.
In quali occasioni ha indagato su attività illegali legate al mercato dell’arte?
Ne posso parlare soprattutto per la mia esperienza passata di pubblico ministero. Gli oggetti d’arte sono uno strumento usato oggi in moltissime transazioni, anche illecite. Questo per una serie di ragioni. Intanto si tratta spesso di oggetti di dimensioni piccolissime ma di alto valore, non facilmente individuabili e quindi è semplice scambiarli. Ci sono poi collezionisti disposti a tutto, come hanno mostrato vari casi di cronaca, innamorati di alcune opere al punto da essere indifferenti a un’eventuale provenienza illecita o al fatto di non poterle esporre perché troppo riconoscibili. Gli oggetti d’arte possono inoltre essere lo strumento di una contropartita illecita: dal traffico di droga alle attività estorsive o persino a fatti di corruzione. Su questo c’è un grande interesse delle organizzazioni criminali, soprattutto a livello internazionale.
Quindi si tratta di un campo di indagine ramificato e complesso…
Le racconto una mia esperienza di giovanissimo magistrato, una delle mie prime indagini come pubblico ministero. Era il 1992 e l’allora direttore del Museo Archeologico Nazionale di Napoli era andato alla festa di uno dei più ricchi imprenditori cittadini, che aveva una villa bellissima nella zona di Posillipo. Scendendo nella strada illuminata vide una statua che assomigliava a quella che il museo aveva nei depositi. Si insospettì, chiese all’imprenditore da dove venisse e lui gli rispose che si trattava di un oggetto di scarso valore, comprato per pochi soldi. Il direttore insistette e la volle esaminare: quando la scultura fu sollevata la riconobbe subito dal numero di matricola, era proprio quella del museo. Le racconto questa storia perché nessuno s’era accorto del furto, che non era stato mai denunciato. Allora feci un sopralluogo nei depositi del museo e vidi qualcosa che mi lasciò esterrefatto: una quantità enorme di reperti, solo in minima parte catalogati, abbandonati in casse strapiene. Sono passati gli anni, forse qualcosa è cambiato ma è evidente che la gran quantità dei beni archeologici rende difficilissima la catalogazione.
Ma questo non vale soltanto per l’archeologia, il problema del catalogo dei beni culturali è ancora un capitolo aperto.
Quando ero alla Direzione distrettuale antimafia scoprimmo che alcune tele seicentesche del Manierismo spagnolo, rubate da chiese napoletane, erano state utilizzate come pagamento di partite di droga acquistate proprio in Spagna. È la dimostrazione che esiste un mercato parallelo, perché è facile mettere queste opere in una valigia. E poi, quante persone sono davvero in grado di capire se si tratta di opere di qualità o di poco valore? Fra l’altro, soprattutto con l’arte contemporanea, diventa possibile anche speculare sui prezzi, ad esempio manipolando le quotazioni alle aste e facendo così assumere alle opere valori fittizi...
Quali strumenti abbiamo per contrastare questo traffico?
Abbiamo un grande know-how e un corpo di polizia specializzato, i Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale, un’eccellenza nel sistema della tutela. Abbiamo anche una serie di norme valide che, per esempio, consentono operazioni sotto copertura. Non credo ci sia bisogno di nuovi strumenti normativi.
Il riciclaggio internazionale di denaro segue però altre strade: le opere d’arte servono da copertura per grandi movimenti di denaro. Esistono strumenti per intervenire?
Non è questione di norme, ma di sistemi di accertamento. È come se dicessimo: esistono i paradisi fiscali. Servono collaborazione e soprattutto regole internazionali, come per la finanza.
Negli Usa ogni compravendita in opere d’arte per contanti superiore ai 10mila dollari deve essere segnalata: il controllo è rigoroso e si rischia il carcere.
Se è per questo da noi ogni transazione in contanti non può superare i 3mila euro. È un problema di controlli. Per i preziosi esiste l’obbligo di segnalare gli acquisti in un apposito registro. Gli antiquari sono soggetti a verifiche. Eppure non basta, perché in teoria un rigattiere può non riconoscere una crosta da un capolavoro e ciò rende il controllo molto difficile. Per non parlare di un altro aspetto che viene spesso sottovalutato, come il traffico di mobili antichi, di valore, che sfuggono a ogni accertamento.
La legge che prevede il reato specifico di «furto d’arte», approvata dalla Camera, non è stata approvata in tempo al Senato prima che finisse la legislatura. Rubare o danneggiare un’opera d’arte prevede ancora pene irrisorie. Potrebbe aiutare una legge del genere?
Sarebbe opportuna. Le pene sono irrisorie, visto che il reato contestato è spesso quello di ricettazione e quindi anche su questo reato bisognerebbe intervenire. Sono d’accordo che non sempre c’è una grande sensibilità giudiziaria nel considerare questi fatti di particolare gravità. La ricettazione di un’opera d’arte è considerata alla stregua di quella di qualunque altro bene. Ma resto convinto che nell’insieme il nostro impianto normativo sia di buona qualità.
È accertato che il boom dei prezzi dell’arte, soprattutto quella contemporanea, si presta a una serie di reati: evasione fiscale, riciclaggio, pagamento di tangenti. Secondo lei si potrebbe fare qualcosa?
Per evitare casi di riciclaggio esiste l’obbligo di segnalare le operazioni sospette: se non hai un reddito e depositi un milione di euro la banca dovrebbe avere dei dubbi. Forse si potrebbe provare a segnalare operazioni sospette molto significative, ma ci si scontra con il fatto che le opere d’arte non devono essere registrate e che quasi sempre chi compra è un commissionario, mentre l’acquirente resta anonimo e forse questo è un aspetto irrinunciabile nel mercato dell’arte. Se si imponesse trasparenza assoluta nelle transazioni, questo potrebbe avere un effetto depressivo sul mercato e non sempre dietro l’acquisto anonimo c’è un’attività illecita.
Lei ha vissuto spesso l’incontro con i beni culturali come parte di un’indagine criminale. Questo suo lavoro ha condizionato il suo atteggiamento, il piacere di godersi liberamente l’arte nei suoi vari aspetti?
Adesso non esageriamo... Semmai vedo un aspetto positivo. Nell’attività di pubblico ministero si cela una caratteristica: la curiosità. Un’attività investigativa è molto favorita dal fatto di essere curiosi. Quindi non mi sento affatto coinvolto dai risvolti patologici che possono inquinare il mondo dell’arte: non sono un intenditore, ma l’arte ha sempre stimolato la mia curiosità.
Quando ha cominciato a essere curioso dell’arte?
In piccola parte deriva dall’ambiente familiare. Un mio zio era un pittore dilettante e dipingeva paesaggi a tinte forti, con colori netti. Da bambino andavo alle mostre con lui, che non aveva figli.
E più tardi?
L’interesse è arrivato con gli studi e la scoperta del mondo classico. Quest’anno sono stato al MoMA di New York con i miei due figli, 19 e 22 anni: entusiasti delle opere di Andy Warhol. Trovo bellissime alcune opere di arte moderna, ma con altre faccio fatica... Ho apprezzato di più la straordinaria varietà di opere del Metropolitan.
Quindi ha frequentato mostre e musei?
Molto meno di quanto avrei voluto e vorrei, anche se non c’è stato un viaggio di piacere senza la visita a un museo della città.
Quanto vale per lei un concerto, un’opera teatrale, un dipinto, in termini di qualità della vita?
Davvero tantissimo. Sono i momenti in cui si recupera la propria interiorità. Il fatto di essere sotto scorta limita molto la libertà, anche di movimento. Durante le vacanze di Natale, una mattina con mia moglie abbiamo deciso di tornare, dopo molti anni, al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Abbiamo fatto una lunga fila, tanta era la gente, ma è stata una visita di tre ore davvero bellissima. A me piace particolarmente la parte egizia, quindi ho apprezzato molto soprattutto quel settore, ora rinnovato. Considero quel tempo passato al museo un grande appagamento in termini di qualità di vita.
Ha un ricordo di qualche opera o luogo d’arte che ha suscitato in lei un’emozione particolare?
Fin da ragazzo mi ha impressionato l’arte sacra nelle chiese: quei quadri, benché poco noti e talvolta di qualità mediocre, mi hanno sempre incuriosito molto. Mi colpisce il forte legame della gente con l’icona, soprattutto in provincia: il quadro del santo, l’immagine della Madonna.. Ad esempio, nel mio paese, Giugliano, c’è la festa di san Giuliano: quel busto reliquiario seicentesco in argento ha sempre su di me una forte presa emotiva. Un paio d’anni fa sono stato a Torino per l’ostensione della Sacra Sindone. Da credente, pur con tutte le mie perplessità sull’effettiva autenticità, mi ha fatto una fortissima impressione.
Quando pensa a un grande artista chi le viene subito in mente?
Caravaggio: da noi napoletani è considerato un po’ un artista di casa. In questo periodo vado spesso in Toscana e mi hanno affascinato in particolare le opere di Luca Signorelli e le annunciazioni di Beato Angelico. Forse alcune di quest’ultime dal punto di vista della rappresentazione sono un po’ «convenzionali» ma altre, per esempio quella conservata al Museo Diocesano di Cortona, le ho trovate ricche di una forte carica evocativa.
Da undici anni lei lavora a Roma: qual è il suo rapporto con questa città e con i suoi tanti tesori d’arte?
È paradossale, ma di Roma conosco pochissimo, molto meno di quanto vorrei. È un mio grande cruccio. Una delle cose che mi ha più colpito, però, è stata la possibilità di affacciarmi dalla stanza del sindaco sui Fori Imperiali. Uno spettacolo straordinario, soprattutto di sera.
Edek Osser,
da Il Giornale dell'Arte numero 385, aprile 2018